Zona poco conosciuta dal punto di vista vitivinicolo, Caiazzo, è un piccolo comune in provincia di Caserta che conta circa cinquemila abitanti; “Città dell’Olio”, Caiazzo è conosciuta e frequentata da una nutrita schiera di gastronauti per la presenza del locale di Franco Pepe, uno dei più noti ed universalmente riconosciuti pizzaioli viventi.
Nel mese di Aprile sono stato a trovare Paola dell’azienda agricola Alepa, piccola realtà Caiatina, posta ad est di Caserta, al confine con Benevento. L’azienda è nata negli anni Ottanta, ma ha cominciato a vinificare ed imbottigliare solo nel decennio successivo. Immaginate un piccolo “Château” immerso nelle verdi colline caiatine, dove i tre ettari vitati a corpo unico girano tutto intorno alla casa e alla cantina mostrando un biglietto da visita da cartolina con i colori sfavillanti della primavera e una distesa meravigliosa di borraggine.
I vitigni a bacca presenti sono sempre stati falanghina e greco, aglianico e cabernet sauvignon quelli a bacca nera. Il pallagrello apparve sulla scena quando, la dinamica e vulcanica Paola entrata in azienda nel 2002, impiantò un nuovo vigneto, e credendo fortemente in questa uva, qualche anno più tardi, per aumentarne la produzione, innestò il pallagrello bianco su piante vecchie di aglianico.
Vitigno spesso e volentieri bistrattato, il pallagrello è sempre stato mortificato in quelle che potevano e dovevano essere le proprie espressioni più tipiche, tanto che spesso sulle tavole è arrivato un vino per nulla tipico e per nulla in linea con il suo carattere peculiare.
Veniva già coltivato ed apprezzato durante il regno dei Borbone, dove veniva chiamato Piedimonte bianco e Piedimonte rosso. I contadini che ne conservavano questa coltivazione per autoconsumo familiare, lo ribattezzarono ‘a pallarella e da lì pallagrello, che in definitiva fu iscritto all’albo dei vitigni.
La storia ci dice che Ferdinando IV di Borbone, possedeva una vigna in località Monticello, dove veniva autoprodotto il vino per la famiglia reale. Fece sperimentare un vigneto il quale avrebbe dovuto rappresentare tutte le varietà del regno delle due Sicilie, cosicchè divise in dodici settori la vigna, ognuno con uva specifica, ed il piedimonte era presente, annoverata tra quelle di pregio nel loro regno. Con la caduta del regno si persero molte tradizioni, tra cui la coltivazione di quest’ultima, continuando a vivere in queste zone solo per il consumo dei contadini locali; non venendo prodotto su larga scala, la vinificazione e la commercializzazione si perse per strada, a parte rarissime eccezioni, la famiglia Scorciarini, già attiva dagli anni ‘50 imbottigliava pallagrello e più recentemente negli anni ‘90 l’interessamento verso questo vitigno si fece sempre più concreto, Vestini Campagnano è stata quella che ha dato l’imput e negli anni a venire ne sono nate molte altre, adesso se ne contano circa venti che hanno continuità commerciale, tutte quante collocate a cavallo della zona di Caiazzo e quella di Pontelatone -Monte Maggiore- anche se quest’area è più vocata per il Casavecchia.
Le aziende attive nella produzione di questa tipologia di vino sono tutte molto piccole, nate da investimenti di imprenditori provenienti dalla città, i quali una volta acquistata la terra, hanno costruito la casa, impiantato la vigna ed iniziato a vendere il vino. Essendo dei corollari di attività imprenditoriali più grosse e non seguendo canali commerciali tradizionali, le bottiglie non escono dalla provincia di Caserta, al massimo si può trovare qualcosa in costiera amalfitana.
La zona di produzione è molto ampia, abbraccia tutto il corso del fiume Volturno fino alla foce, sconfinando addirittura nella provincia di Napoli, ricade nella IGT Terre del Volturno, ricaduta dell’asprinio d’Aversa, laddove non si rivendichi la Doc.
Da un punto di vista orografico e anche di esposizione, la zona è completamente diversa da quella del Casavecchia. E’ infatti un’area collinare con forti influssi dai monti del Matese e anche dal Taburno, e giacché sta nell’entroterra c’è comunque un clima continentale, perché attraversata dal Volturno, il fiume che lambisce le colline e le ventila, captando il calore che proviene dalla provincia di Benevento e che ingrossandosi scorre in pianura fino al mare.
Mi pare evidente che ci sia un problema di comunicazione, in Campania si consumano oltre 2.000.000.000 di litri di vino, pochi sono locali, men che meno il pallagrello.
Si lavora principalmente sulla Costiera Amalfitana, con un flusso di turismo notevole.
Sono convinto che questo vino possa ritagliarsi uno spazio tra il consumatore occasionale -avendo un ottimo rapporto felicità/prezzo- e tra l’appassionato, -potendo dire la sua anche in tavole importanti-.