Quando si parla dei vini di “Monsanto” la prima cosa che mi fa tremare i polsi è la percezione sensibile ed il ricordo emozionale che ho de  “IL POGGIO”, vino monumentale, proveniente da una conformazione geofisica riconducibile, appunto, ad un poggio.

E’ questo un vino che ha segnato la storia della denominazione, essendo fra i primi Chianti Classico realizzati senza l’aggiunta di uve a bacca bianca come da “ricetta” del Barone Ricasoli – ma solo con un piccolo saldo di uve canaiolo e colorino – ed il primo “cru” della storia del Gallo Nero.

Tuttavia la scorsa settimana, all’interno della Fortezza Medicea di Siena, nel bastione San Filippo, sempre in rappresentanza della stessa azienda, è andato in scena lo stesso attore, ma proveniente da un altro vigneto,“SCANNI”.

Protagonista di questa verticale il “Sangioveto Grosso” di Fabrizio Bianchi, dalla sua prima uscita nel 1974, fino all’ultima annata in commercio, la 2012.

Vino importantissimo per la sua storia, è stato uno dei primi sangiovese in purezza assieme al Pergole Torte di Montevertine, che tutt’oggi riporta il nome del proprietario in etichetta come da tradizione storica.

Lo scasso del vigneto “Scanni” iniziò nel 1967. Furono impiantate viti provenienti da selezione massale del Poggio. Il vigneto si trova ad un’altitudine di 300 mt slm ed ha un’esposizione sud-ovest, con una pendenza che arriva al 17%.

Il terreno fortemente alcalino, con presenza di calcare e ricco di galestro, è quello più adatto per la produzione del sangiovese. Presenta ciottoli arrotondati in superficie di vario spessore, costituiti per il 90% da carbonati di calcio.

 

“SANGIOVETO GROSSO”  FABRIZIO BIANCHI

1974

Assaggiato da due bottiglie entrambe con un filo di ossidazione, mentre la prima si faceva notare per una nota di moka e ruggine, entrando lineare sorretto da un filo di acidità e da un tannino cremoso, la seconda sapeva di creme brûlé e la bocca era spenta. Ce n’era una terza, dicono fosse straordinaria, mi è sfuggita…

1975

Anche di questa annata assaggiato da due bottiglie diverse; la prima vuota a centro bocca con un frutto sotto spirito che rimaneva aggrappato al bicchiere, ma le ossidazioni già facevano capolino.

L’altra più diffidente nel mostrarsi, cerchi di legarci fin da subito ma si fa ritrosa. Queste bottiglie così restie nel concedersi, solitamente sono un pozzo di sapienza, con i suoi tempi ti raccontano per intero un territorio e l’andamento climatico, avendolo vissuto in prima persona.

Sprigiona fumo del sigaro e menta secca, con quel tratto ematico tipico del vitigno.

All’assaggio è presente, sinuoso e saporito, mostrando una scodata davvero minerale, davvero ematica, ed il sorso si allarga come un paracadute in apertura.

1988

Vino duro, scontroso in entrata, con un diluvio di tannini che incollano. Una materia che marca, l’apporto polposo frena leggermente il sorso, inchiodandolo sulla parte frontale del palato, non permettendo sviluppo. Per fortuna possiede una buona dose di acidità, che rimette in equilibrio i giochi.

È netta la nota balsamica, carne e sale, le quali si fondono a sensazioni più terrose.

1995 

Arancia scura e rabarbaro. Vino esile, dalla materia diluita, si muove leggero tra le curve palatali. Non scuote le corde emozionali. Corto. Peso piuma.

1999

Per quanto mi riguarda il migliore della batteria. Stacca il gruppo per finezza ed eleganza, avendo notevole stratificazione.

Ciliegia appena colta, rosa e liquirizia. Vino sapido fino al midollo. Bòno!

2006

Appena entra in bocca mi ricorda l’88, con questa marea di tannini, leggermente più allungati, ma il sorso rimane rigido. Animalesco al naso, sottobosco e chinotto. Rozzo.

2009

Frutto molto maturo, da caramella gelee, dolce, come la spezia che segue. Anche questo mostra una scarsa finezza tannica, lasciando una scia alcolica scissa dagli altri componenti. Manca slancio. Tondo.

2010

Delle ultime annate è quello che ne esce meglio. Ciliegiona che schiocca tra le gengive, liquirizia in bastoncino e mare, tanto mare. Pinne, fucile e occhiali. Succoso e dinamico, saporito e goloso. Pecca, come tutti i vini della batteria, in una mediocre progressione, ti aspetteresti uno sviluppo maggiore, una profondità da grande vino, ma non ci arriva. Peccato!

2012

Erbe mediche, fiore grasso, spezia dolce. Legno che marca stretto, la bocca è di ampio respiro, concentrata, espansa, ma anche in questo caso la profondità non è corrisposta al resto. Fuoco di paglia.

 

 

Cosa emerge da questa verticale? Uno stacco netto nei vini del nuovo millennio, legni diversi, utilizzo dei legni diverso, stile che non coincide con i tempi che furono.

Sicuramente il cambiamento climatico dell’ultimo ventennio ha influito in maniera negativa sui risultati finali del vino, ma anche le scelte in vigna e in cantina hanno condizionato il prodotto finale.

Per concludere tendo a sottolineare come i nobili vitigni, vedi pinot nero, vedi nebbiolo, vedi aglianico, con l’affinamento in bottiglia virino ad assomigliarsi. Il sangiovese si differenzia in maniera netta, grazie a quei tratti ematici inconfondibili.

W il sangiovese

W il Chianti Classico