La neve incombe. La pioggia gelata crea un lastrone di ghiaccio che fa chiudere un tratto di autostrada, proprio quella che devo percorrere per arrivare a Custoza, dove di li a poco, una dozzina di vini ci racconteranno un territorio affascinante. Avevo già noleggiato un elicottero per raggiungere la periferia veronese, ma autostrade per l’Italia decide di riaprire il tratto dell’A1 Sasso Marconi-Milano così da togliermi definitivamente tutti i sogni di gloria.

Non è sicuramente con una serata e pochi assaggi che si può capire in che direzione si muovono una o più denominazioni, ma senz’altro si può riuscire a scorgere il potenziale dei vari vini e le peculiarità delle diverse zone.

La “divisione geografica” della regione, forse, non è casuale. I vini da monovitigno Syrah provengono tutti dalla zona settentrionale, ove sono presenti le denominazioni più celebri ed i produttori più blasonati, pur essendo contenuta come ettari vitati rispetto alla zona meridionale. Anche se il disciplinare permette l’uso dal 10 al 20% di uve a bacca bianca, è difficile trovare chi non esalti a pieno il principe dei vitigni della Valle del Rodano.

Spaziando tra Hermitage, Côte Rôtie, Cornas, tra olive nere, olive al forno, pepe, sangue, erbe officinali, spezie dolci varie, ho trovato dei vini ancora in fase di definizione ma dal potenziale stratosferico. Altri molto golosi. Altri poco inclini nel concedersi, rustici ma sinceri.

 

Cornas

Procedendo verso sud, per oltre 50 km, non c’è ombra di vigneti, per poi giungere nella zona meridionale, dove il paesaggio cambia completamente, il clima si fa mediterraneo e la Syrah diviene un complemento ai 2349 vitigni, sia a bacca nera che a bacca bianca.

Le varietà sono quelle presenti anche nelle limitrofe zone vitivinicole della Provenza e della Languedoca: la Grenache domina il vasto territorio, seguita da Mourvedre, Cinsault, Carignan, Vaccarèse, Clairette, Viogner, Bourbulenc e basta, altrimenti ci facciamo sera.

In generale è difficile trovare vini fini da queste parti, dove le robustezze, il predominante alcol e le ruvidezze, la fanno da padrona.

Discorso a parte per Châteauneuf du Pape, la quale va analizzata come mosca bianca di quest’areale. Il suolo, in diverse zone, è composto da “le gallets”, grossi ciottoli che trattengono il calore nelle luminose ore del giorno, per poi restituirlo di notte a quelle uve dalla maturazione tardiva -vedi Mourvedre- aiutandole nella maturazione. Oggi, la tendenza, sta portando i vigneron ad usare sempre più Grenache nelle cuvee, a discapito della storia che prevede l’uso di 13/14 vitigni in assemblaggio, bianchi e rossi.

In realtà c’è un fattore che lega entrambi gli areali: il Mistral. Forte vento proveniente dalle Alpi, il quale spesso si rivela un’arma a doppio taglio. Difatti così come asciuga i grappoli da eventuale umidità, può, grazie alla sua veemenza, spezzarli di netto. Alcuni vigneron si sono protetti le vigne con alberi di cipresso per alleviare i danni da esso prodotti.

Sono appena tornato da un viaggio in questa zona; il Mistral non pervenuto, le ripide pendenze di Cornas e Côte Rôtie camminate, le scarpe sporcate di terra ed alcuni aneddoti da parte dei vigneron.

Una parte della collina dell’Hermitage

Torniamo alla serata di ormai venti giorni fa.

È l’ora di addentrarsi nella selva dei più grandi Syrah del Mondo, quei vini i quali possono competere tranquillamente con i vicini Borgognoni e Bordolesi.

Una regione che già da qualche lustro si sta prendendo alcune rivincite con i sopra citati, i quali hanno sempre affossato i vini qua prodotti.

 

Alcuni appunti:

Domaine Jamet Côte Rôtie 2014

Vino dai chiaroscuri. Inizia molto bene nel bicchiere, mostrando esuberanza di gioventù colorata. Man mano si perde per strada, sfibrandosi e dando la percezione di un vino da bere nell’immediato.

Domaine Jamet Côte Rôtie 2006

Uno dei nasi più affaticati, l’oliva domina la scena e mangia tutto il resto. In bocca trovo molta finezza, supportata da buona materia, ma il vino non ha sussulti durante la serata, rimane così, non si muove, perdendo addirittura quello che di buono aveva mostrato inizialmente.

Allemand Cornas “Chaillot” 2011

è giocato sul frutto, rosso e nero, mai esasperato, sul pepe e su note balsamiche. Gioca una partita di cuore, generosa, sincera. La ruvidità del tannino deve ancora scalfirla, necessita di tempo per allinearsi. Mediano con il numero 4.

Clape Cornas 2011

Sa di cartone umido dall’inizio alla fine. Bocca molle con zero sussulti. Delusione, per colui che dovrebbe stare ai vertici della denominazione.

Vincent Paris Cornas “La Geynale” 2011

tra i quattro Cornas in degustazione è stato quello più approcciabile, non voglio dire il più semplice, ma sicuramente il meno sfaccettato. Nipote di Robert Michel, dal quale ha rilevato la vigna. Mi piace molto la sua mano, ma stasera ha sofferto molto i vicini di bicchiere.

Gilles Guillaume  Cornas “La Combe de Chaillots” 2010

prodotto solo nelle annate migliori, proveniente dal climat “Les Chaillots”. Gilles è il figlioccio di Robert Michel, vero faro della denominazione, il quale nel 2006 ha deciso di andare in pensione e lasciare al suo allievo la cantina storica di vinificazione nel centro del paese. Se volete spendere poco (circa 45€ in cantina) e godere di brutto questo è l’ideale. Ha una golosità del frutto allucinante, pepe e erbe officinali calibrate. I vini di Cornas non puntano sull’eleganza, ma su una rusticità importante, ecco, Gilles ha mano fatata per questo, estrapolazione tannica notevole, finale tutto sul frutto. Che l’allievo superi il maestro? Bravo!

 

Robert Michel Cornas “La Geynale” 2006 

il guru di tutta la Cote du Rhône, maestro di molti presenti stasera, austero, sanguigno, rustico ma sincero. Fittezza tannica che richiama tavola imbandita, non si concede mai, graffia e morde, servirebbe la museruola.

 

Domaine Jean Louis Chave Hermitage 2007 

la completezza fatta vino. Spazzerebbe via molti vini più blasonati provenienti dalle zone più a nord -ogni riferimento è puramente casuale- incredibile per stratificazione di bocca e spinta, progressione e erotismo. Inutile dire che i 48 secondi di persistenza sono stati cronometrati.

 

E.Guigal Côte Rôtie “La Turque” 2004 

Double face. Naso imbalsamato dalle dolcezze del legno, bocca clamorosa. Esplosiva ma elegante, materica ma sinuosa, questo è lo stacco da prendere in considerazione tra un vino ed un grande vino. Se ne avete, tenetelo buono in cantina, con carezze settimanali.

 

Chateau Rayas Châteauneuf du Pape 2006 

crepuscolare già dal colore, leggerezza intrisa a complessità. Il terreno è atipico per la zona, dove prevalgono le sabbie. Sembra un vino nordico con quella vena acida vibrante, sa di granita alla menta, mirto e rabarbaro. Leggerezza e setosità, ma manca di quello quello strappo finale che lo avrebbe collocato in alto, tra i grandi, tipo medesimo vino del millesimo 2005.

Henri Bonneau Châteauneuf du Pape “Réserve des Célestins” 2004

Le aspettative erano altissime, ma la bottiglia era poco performante, purtroppo. Appena versato non stava molto bene. Sul filo dell’ossidazione, nonostante tutto si riprende, man mano acquista consapevolezza, foglie di tè e tabacco biondo, frutto dolce che richiama il lampone e arancia rossa. Palato tenace, infittito da una materia a maglia stretta che si incunea lasciando un finale di bocca di erbe officinali secche. Figurarsi se fosse stato al 100%.