Siamo in una delle regioni -vinosamente parlando- più vaste e dispersive della Francia, dove, a cospetto di altre aree, le uve autoctone sono presenti in larga scala.
 
La Valle della Loira, per i comuni mortali, è conosciuta per gli incantevoli castelli, per i pittoreschi borghi, con molte cittadine ricche di arte e di storia. 
 
In tutto questo splendore, ad arricchire il panorama, ci pensano le colline piantate a vite, che corrono lungo il massiccio centrale, fino quasi a sfociare nell’Atlantico. Si può ben capire quanti climi e climat, quanti terreni e terroir, quanti… non me ne vengono più!
 
Nella bolgia dei colori e delle tipologie possiamo trovare: bianchi secchi e bianchi abboccati, rossi, effervescenti, rosé, liquorosi, dolci; il frutto di uve internazionali, ma radicate come da nessun altra parte, vedi cabernet francsauvignon blanc, oltre a pinot noir e chardonnay, attestate su livelli decisamente più bassi. Come scrivevo poc’anzi, la presenza degli autoctoni è importante, per cui sentiremo parlare di uve come lo chenin blanc -ho detto niente (!!!) – il grolleau, il muscadet, il pineau d’aunis. Prima di farmi fare un business plain dal mio commercialista, per poter parlare in maniera dettagliata sui 1000 chilometri di vigne che si estendono lungo la Loira, vorrei soffermarmi proprio sul pineau d’aunis.
 
Una volta che entriamo a stretto contatto con questa magnifica uva, è difficile tornare indietro.
 
Un legame con la Valle della Loira da tempi immemori, risalgono alcune testimonianze addirittura del XII secolo. La forma del grappolo è simile a quella del pinot noir -conica- con acini molto serrati tra loro, ma non ha nessun grado di parentela con il più nobile dei vitigni francesi. Per molti anni si pensava fosse una variante a bacca rossa dello chenin blanc, dato che i vecchi contadini lo chiamavano chenin noir, tesi scagionata attraverso verifiche genetiche.
Il sostantivo “Aunis” pare provenga da un monastero situato nella zona di Saumur: tale monastero Prieur d’Aunis esiste tutt’oggi, adibito a casa di charme incorporata all’azienda vinicola.
 
I giorni nostri.
 
Un vitigno che nell’ultimo secolo ha rischiato più volte l’estinzione: la fillossera prima, l’abbandono delle colline vitate a favore di altre varietà poi. Un recupero iniziato agli inizi degli anni ’90, dove il d’aunis veniva principalmente usato in taglio con il cabernet franc ed il cinsault, oltre ad essere vinificato in rosato. Oggi possiamo contare poco meno di 200 etttari vitati, per buona parte da vecchie vigne.
Non si hanno notizie ufficiali su chi sia stato il pioniere del recupero, c’è chi dice Jean Pierre Robinot, chi Patrice Colin. Ha un nome ed un cognome ben preciso chi invece è riuscito a ridare una propria identità a quest’uva, valorizzando il frutto delle vecchie piante: Emile Heredia.
 
Il suo vino “Le Verre des Poètes” riesce ad avere una complessità sussurrata. Proveniente da piante franche di piede di oltre 100 anni, è un giardino di spezie, chinotto ed erbe amare, bocca spensierata, rimane su binari retti e gioiosi. Frutto succoso, colorato, saporito, con richiami a radici e agrume scuro. Vino che mette di buon umore, peccato che il vigneron si sia spostato nel Languedoc e non produca più questo magnifico vino.
 
 
Ma è proprio il d’aunis ad entrare in un vortice di profumi che nessun altro vino, a mia memoria, riesce a regalare. Prendiamo ad esempio un altro capolavoro assoluto, “Hommage a Louis Derré” di Eric Nicolas – Domaine de Belliviere- vigneron ritenuto da molti come uno dei migliori bianchisti della regione, il quale, a mio avviso, produce rossi da antologia; da menzionare anche il suo “Rouge Gorge” sempre molto crudo da giovane, verdastro, dalle mille spezie, ma leggero e fluttuoso, dal tannino quasi impercettibile e dal succo colorato. Ma il coup de cour arriva con l’Hommage, vino stordente, sa di pino mugo e di muschio, di pepe bianco e verde, di garofano e di canapa. Una parabola che non stenta mai a calare, intenso ma fine, dinamico e progressivo, più maturo del precedente descritto ma senza scadere nel frutto solitario, come molti vini concepiti secondo logiche commerciali.
 
 
Molti si chiederanno perché non ho menzionato i vini di Jean Pierre Robinot!
 
Sono stati i primi che ho assaggiato diversi anni fa, e in tutta onestà mi piacevano molto, tanto da averne ancora qualcuno in cantina. Come del resto ogni appassionato che si rispetti, la curiosità spinge sempre a guardare oltre, senza soffermarsi mai, soprattutto per confrontare le diverse realtà. Mi è capitato poco meno di un anno fa, di mettere accanto i vini dell’eclettico Robinot, con quelli appena citati sopra, il risultato è stato schiacciante a sfavore di Robinot. Aggiungiamo inoltre che i prezzi dei suoi vini negli ultimi due anni sono QUADRUPLICATI senza senso, e traiamo le nostre conclusioni.
 
Sicuramente, se non li conoscete, sono da provare i pineau d’aunis di Renaud Guettier (Le Grapperie), Patrice Colin e del trio Marc Houtin-Julien Bresteau-Gérald Peau (La Grange aux belles).
 
Buone bevute.