Chi sono gli esperti?
Con l’avvento dei social network, già ormai da diversi anni, sembra che tutti si intendono di tutto.
Dall’astrofisica nucleare alla NASA, dalla chirurgia estetica alla caccia alle antilopi; dalle politiche internazionali, ai disastri ambientali, alla salvaguardia del mondo.
Se ci addentriamo nel tema che più mi riguarda e del quale vorrei incentrare questo breve scritto -enogastronomia- posso affermare con molta sicurezza che una qualsivoglia persona non può definirsi esperta solo perché ha girato centinaia di ristoranti o perché assaggia cinquemila vini l’anno.
Io ho investito tanti soldi e tanto tempo in questi due campi, ma da qui a definirmi un esperto, beh, ce ne corre. Argomento sempre temi di cui posso saper controbattere ad un’eventuale “attacco”. Non parlo mai di cose di cui non ne conosco le dinamiche, rischierei di entrare in un bosco di schiaffi -mi è capitato- oppure capita altresì di imparare in alcune circostanze, e questo ben venga, da dibattiti costruttivi, con persone soprattutto rispettose.
Mi piacerebbe imparare dagli “esperti”, così da accrescere il mio bagaglio. Sulla comunicazione 2.0 tutti si sentono esperti. Rimane difficile scremare, soprattutto sui social. Ecco che la confusione regna sovrana, Instagram docet. Riesco difficilmente a fidarmi se a parlare/scrivere è uno sconosciuto senza nessuna formazione, a volte non mi fido nemmeno di chi ne ha, di formazione. Ma come si può capire chi abbiamo dall’altra parte? Difficile, molto difficile.
Se saliamo un paio di scalini ci troviamo in un altro mondo, quello degli esperti che lavorano nel settore; i rami possono essere variegati: dal cuoco al vignaiolo, dal fotografo al giornalista, e via dicendo. La figura che viene messa in mostra proprio sui social, non rende giustizia fino a che non conosci di persona questi soggetti, o di riflesso ci si imbatte nella loro professione. Allora capita che il bel castellino costruito con merletti d’oro si smonti in pochi minuti, assaggiando un piatto, bevendo un vino, o leggendo le cazzate che scrivono.
Fidarsi del proprio palato potrebbe essere la soluzione definitiva, il vero problema è che quest’ultimo è asfaltato e non si riesce più a distinguere cosa sia il buono o il cattivo.
Altro grande problema sono le associazioni di sommelier. Non voglio sputare nel piatto dove ho mangiato, ma dei cambiamenti sarebbero doverosi. Qua di esperti (?) che escono da tali “scuole” ne è pieno il globo. Una minor parte, quella più curiosa -saremo nell’ordine del 2%- prende una propria strada, tutti gli altri, come pecore, continuano ad andare dietro all’immobilismo di arruffate idee di sedicenti “esperti”, appunto. Personaggi che bevono da trent’anni, con un’esperienza ovviamente più importante rispetto al sottoscritto, ma che continuano a propinare vini decrepiti e stantii, con serate di approfondimento (?) che forse nel medioevo potevano essere avanguardiste. Non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ma per la maggior parte delle associazioni è proprio cosi che va. Quest’ultimo settore, a mio modestissimo parere, è quello che sta devastando il mondo del vino, tutto.
Buone bevute.