Una cosa che ripeterò all’infinito: diamo sempre troppo poco tempo ai vini di esprimersi nel bicchiere.

Purtroppo il tempo è il nostro nemico nella vita di tutti i giorni e non ne abbiamo mai abbastanza per dare spazio al nostro amato vino, vuoi al ristorante, vuoi a casa. Da una parte non puoi stare 7-8 ore al tavolo in attesa che il vino “si apra” -vabè, è successo, ma non per fare aprire il vino- come non sempre hai amici appassionati che vogliono sorbirsi ore di chiacchierate sulle fermentazioni spontanee e sui solfiti aggiunti, a volte mi sto sulle palle da solo.

Ma a casa, negli ultimi mesi, nella paradossale situazione del lockdown, abbiamo tutto quel tempo che cercavamo, e la valutazione di alcuni vini cambia in maniera drastica.

Prendiamo ad esempio questo chenin, prima volta che lo assaggio e primo vino che assaggio di questo nuovo vigneron, Pierre Ménard, stabilitosi a Faye d’Anjou nel 2013, dopo una laurea da ingegnere agricolo e varie esperienze in giro per il Mondo. Originario proprio di questo piccolo comune -poco più di mille abitanti- nel quale, negli ultimi anni, qua e nelle zone limitrofe, un nutrito gruppo di giovani vigneron sta riscrivendo un’epoca, senza tralasciare chi ha trascinato tutti loro: Richard Leroy.

Sappiamo quanto sia immenso il patrimonio di vigne vecchie in Loira e quanto siano complessi i suoi suoli e sottosuoli. Un mix devastante se si portano uve sane in cantina e se non si interviene mascherandole.
Le Quarts des Noëls è il nome del luogo dove Pierre Ménard raccoglie le sue prime uve, in una trama di 2000 mq, da una vigna piantata nel 1920!

Il terreno qua è costituito in superficie da un sottile strato di limo con argille più o meno presenti.
Il sottosuolo è molto complesso, con rocce risalenti all’era primaria con buona varietà di scisti che si mescolano al quarzo.

Come dicevo in precedenza, se questo vino fosse stato scelto in carta di un ristorante l’idea che ci saremmo fatta sarebbe stata del tutto distorta dalla realtà.

Monolitico per ben 20 ore dall’apertura, sapeva di mela cotta, con leggere note ossidative ed una volatile ballerina. Però il vino lo sentivi subito al palato che aveva stoffa.
Seguito per buona parte del pomeriggio successivo, tra uno gnocco ed un pollo arrosto homemade, scoppia letteralmente nella caraffa. Leggere note ossidative rimangono (stile) ma donano al vino una sfericità unica. A tratti sembra un vino fatto bene con la voile dello Jura (quelle leggere, tipo Macle) a tratti mi fa sconcuassare, rischiando di cadere all’indietro dalla sedia. Vibrante, magnetico, salato, ricco, piccante, un vino quasi completo. La sua purezza è come acqua sorgiva, sa di roccia e di buccia d’arancia, di pesca e di parti intime femminili.

Le potenzialità di questo vino sono sconcertanti, intanto ne ricompro subito alcune, quel paio rimaste.
Se non potete dedicargli il giusto tempo, aprite altro, rischierete di rimanere delusi.

Pierre Menard
Anjou “Le Quart des Noëls” 2018
100% chenin blanc