Ci sono due tipi di vino: quelli che ti rimangono stampati in testa, perché troppo buoni o davvero pessimi, e quelli che in parte finiscono nel dimenticatoio, perché in quella fascia un po’ “ne carne, ne pesce”.
Ecco, i franc di Claire e Florent Bejon ondeggiavano nella seconda tipologia.
Conosciuti tramite un cavista a Lione circa quattro anni fa, assieme a nomi come Renaud Boyer, Benoit Courault e Frederic Gounan, gli unici tra questi dei quali non ho continuato a comprare i vini sono stati proprio quelli di questa microscopica cantina di Saint-Germain-sur-Vienne; per chi non conoscesse, ci troviamo a circa 15 minuti di auto da Saumur, la patria del cabernet franc in Loira.
Mi capitano sotto mano un mesetto fa e decido di rimbattermici, più per curiosità che altro.
È sempre la stessa storia: quei vignaioli che assaggiano tanto ed hanno visioni ampie, riescono molto spesso ad emergere, facendo trasparire un’energia diversa nei vini. Florent Bejon ha scambiato tanti bicchieri con Richard Leroy, con Benoit Courault e con Réne Mosse, captando e “rubando” il fare.
Come dicevo precedentemente la cantina è microscopica e la produzione di pari passo: questi sono i due franc da loro prodotti, più uno chenin, in tirature limitatissime, circa un ettaro e mezzo vitato.
Entrambi i vini 2018.
Il “Picrochole” è arioso, fluido, splendente.
Ha succo smagliante, sapore e profondità.
Un tannino leggerissimo e composto.
Finissimo. Buonissimo!
Il “Saint Germain” è parecchio più stretto e più scurotto. Ha densità e nota vegetale (chiaro rimando al vitigno) anche se lieve.
A tratti sembra di mordere una fruit joy alla mora.
Nonostante tutto ciò il vino è fresco e finisce.
A chi interessasse, non che questo influenzi la valutazione finale, entrambi i vini sono senza solfiti aggiunti. Ah, non puzzano, per tutti gli altri.
Nota a margine.
Il prezzo di ogni singolo vino supera di qualche euro il “Bruciato”, e tra loro si differenziano di venti centesimi, così, per dire.
Santè.