Ho avuto l’onore di seguire uno dei vini più grandi del globo nel suo percorso di trasformazione.

 

Insiemi ci siamo fusi, poi vaporizzati e per certi versi anche sublimati.

 

I vini di Margaux nati da ghiaia e calcare dell’alto Medoc si annoverano tra i più eleganti del mondo e Chateau Margaux in particolare ne rappresenta lo zenit assoluto. Finezza e longevità sono la chiave del successo di questa etichetta che traina tutti gli attigui.

 

Chateau Margaux, premier Grand Cru Classe dal 1855, con i suoi 82 ettari di vigne quarantenni realizza ogni anno circa 250000 bottiglie da sogno. Cabernet sauvignon sempre in maggioranza cui si aggiungono una parte di merlot, una spolverata di Franc e accenni di Petit Verdot a seconda del millesimo.

 

Ho vissuto questi tre bicchieri come se fossero un continuum, ma non solo come l’evoluzione di un individuo verso la senescenza bensì come cambiamenti di materia veri e propri.

 

In questo moto di trasformazione Château Margaux 2007 ha assunto il ruolo di rappresentante dello stato solido.

 

Rifacendoci a qualche lontana reminiscenza di fisica possiamo affermare che in tale forma i costituenti della materia, legati da forze molto intense, possono compiere solo moti di vibrazione e nella maggior parte dei casi le molecole si dispongono secondo un reticolo cristallino o in maniera amorfa.

 

La definizione sposa millimetricamente il tattile del nostro calice: tutto perfettamente in risonanza ma inquadrato e giocato su schemi ben delineati che non si riescono a spezzare. L’alunno a scuola guida. Il tram sulle rotaie. La zip della felpetta.

 

Eccolo:

 

Château Margaux – Margaux Premier Grand Cru Classée 2007

Attacco esplosivo tra polvere da sparo e pepe chiaro. La torrefazione in grande spolvero che accompagna un sigaro dolce, cacao e fondente nero. Nel caleidoscopio d’un tratto appare un minuto frutto rosso leggermente acerbo che colpisce anche in attacco di bocca e dona una spinta incredibile al sorso. Il tutto giocato sulla maniacale proporzione tra morbidezze e durezze risultanti in una bicchiere assolutamente perfetto.

C’è seta e freschezza, morbidezza e tannino, si mastica e si saliva: da cappottarsi.

 

[Da annata capricciosa, con molti dubbi e preoccupazioni vista la gran fatica maturativa nelle ultime fasi che ha visto escludere grosse parti di cabernet e tutto il Petit Verdot dal taglio.]

 

Chateau Margaux

 

Passano gli anni e passano i bicchieri, la materia inizia a fondersi e arriviamo a Château Margaux 1998, che per noi incarnerà lo stato liquido. Qui le forze attive tra i componenti della materia sono meno intense ed essi sono liberi di muoversi gli uni sugli altri. Il liquido presenta infatti variazioni di volume meno marcate rispetto ai gas e tende ad assumere la forma del recipiente nel quale è contenuto.

 

Nulla di più vero.

 

Il vino inizia ad ingranare, perde i rigidi binari che lo incarceravano nella versione giovanile e trascina l’astante in un moto vorticoso di sapore ed emozione. Il cambio di stato dona al vino una compiutezza che sembra quasi frutto d’esperienza, come se avesse vissuto amando, sbagliando e sognando.

 

Eccoci:

 

Château Margaux – Margaux Premier Grand Cru Classée 1998

Il sauvignon in attacco: a occhi chiusi sembra di aver sotto un’amarena protetta da una speziatura con sfumature verdine. Fresco e mentolato. A tratti terroso e crudo. C’è la pioggia estiva. I ribes maturi e quasi dolci.

In bocca la perfezione cui il giovane ci aveva abituato si quadra ulteriormente con un tannino svolto alla perfezione. I bicchieri si chiamano con eco incessante.

In allungo compare la foglia bagnata, giusta e non pesante. Infinito in bocca con un abbraccio totalizzante che consola.

La sensazione tattile è d’ardua traduzione, non riesco. In evoluzione animale e fienico.

Nell’ultimo sorso eccolo sempre più mentolato dove prevalgono i sentori verdeggianti del Franc.

 

[Sfiorata d’un soffio, causa piogge al fotofinish, la grande annata, il millesimo ha donato una vendemmia di incredibile concentrazione che, ricordando ‘86 e ’95, colloca questa bottiglia tra i grandi vini da invecchiamento]

 

Chateau Margaux

 

Definizione: nello stato aeriforme le interazioni sono estremamente deboli ed ai costituenti è consentito muoversi indipendentemente. Non hanno dunque forma propria e tendono ad espandersi ed occupare tutto il volume disponibile, risultando comprimibili.

 

Il vino è scomposto, vaporizzato. Non c’è ricordo del prima, della giovinezza o mezza età, è divenuto altro. Si è smembrato, frantumato, polverizzato nelle varie componenti. Non ha più nulla di monolitico, d’impostato, di coercitivo, diviene poesia per l’anima.

 

Et voilà:

 

Château Margaux – Margaux Premier Grand Cru Classée 1964

Appare subito fumoso, con l’ossidazione ad imperversare nel calice.

Ove la cortina si spezza appaiono sparute le sfumature del cuoio e dell’animale bagnato. In altre pause della tempesta compare una cup di caffe americano, l’avanzo della pipa da fumo e un fondente tra i più neri.

La bocca sorprende per freschezza e agilità, con la liquirizia che si può a tratti masticare.

Appaiono note floreali su cui la viola regna tiranna. China scura e sprazzi di smaltato. Torna poi una chiusa ossidata che si allunga a dismisura.

 

[il 1964 ha spaccato in due il bordolese: da un lato chi ha raccolto prima dell’inizio delle piogge vendemmiali, dall’altro chi invece ha raccolto durate queste ultime. Il nostro Chateau raccolse metà uve in anticipo e metà durante le piogge con gravi problemi di salute per le seconde. Il millesimo risente di questa doppia paternità risultando un eccellente vino, ma avrebbe potuto esserlo ancora di più]

 

Chateau Margaux

 

Scrivere oggi di Bordeaux, con emozione e riverenza, è atto di pura ribellione.

È come ritrovarsi in spiaggia a Riccione privi di tatuaggi, non possedere la televisione né il personal trainer. Mosche bianche. Pecore nere. Dei Dodo.

 

Viviamo infatti in un periodo in cui i giganti di Margaux e limitrofi sono bistrattati, schiv(f)ati e rinnegati da grandi e piccini.

L’apparire nei social in compagnia di un signorotto di pauillac o, peggio ancora, di un noto bordolese non francofono potrebbe costarvi caro, dal dislike alla perdita d’amicizie preziose, potrebbero darvi del “pivello” o meglio ancora dell’infanticida!

 

In questo clima da santa inquisizione, senza un soffio di timore, son felice di poter testimoniare l’amore e il rispetto che provo per il taglio e per i castelli che l’hanno reso mitico.

 

Parliamo di vini granitici che non possono mancare nella formazione dei giovanissimi e nei pensieri dei grandi.

 

Briss

 

 

 

Credits:

 

  • per gli assaggi di ‘07 e ’64 si ringrazia Francesco Falcone e i suoi indispensabili seminari al Quartopiano Suite Restaurant di Rimini,

 

  • per la sbicchierata del ’98 ringrazio l’infinita generosità di Michele Api, grande amico ed epico wine lover marchigiano, che l’ha condivisa con me al Saltatappo Vinoteca di Senigallia.