Domenica 15 Luglio 2018.

Una data che i cugini transalpini si ricorderanno per molto tempo. Difatti intorno alle 19 ora italiana, alzano al cielo di Mosca la Coppa del Mondo dopo l’ultimo successo in casa propria, 20 anni fa.

Per diversi motivi, sono convinto che i cinque, me compreso, si ricorderanno della cena organizzata dall’amico Beppe Pieretti, con bottiglie annesse, nel campo neutro di Radda in Chianti.

Queste sono serate che permettono di accrescere un bagaglio importante, composto di storie e racconti, con le menti pensanti di un tempo così distante, con delle scelte dettate dall’istinto, da rapporti umani e amichevoli, dall’artigianalità, con un’industria/omologazione ed un Dio Denaro che guardava da molto distante.

 

Brovia Barolo “Monprivato” 1990
100% nebbiolo

Partiamo dal più giovane dei tre.

Davanti a certe bottiglie, non nascondo, mi entrano in gioco meccanismi difficili da gestire. Emozione e fascino; bottiglia rara. Infatti è l’ultima annata prodotta dai Brovia del Cru “Monprivato”, prima che la famiglia Mascarello se ne aggiudicasse il monopole (o meglio il quasi monopole).

Preso al suo picco massimo. Il frutto è maturo, c’è del rosolio, la pèsca, foglie di tè. Ha movenze seriose ma al contempo leggere. Catalizza austerità a forza dolce, vino assolutamente tattile, percepisci aspetti dei barolo che furono.

Castello di Fonterutoli “Concerto di Fonterutoli” 1985
80% sangiovese 20% merlot

Il mio anno di nascita. Forse la migliore annata, in Toscana, di sempre.

Solo un maestro come Giulio Gambelli poteva far coesistere il sangiovese, senza strampalarlo, ma soprattutto amplificarlo, con un vitigno internazionale. Ultimo “Concerto” del più grande conoscitore del sangiovese del secolo scorso, suonato a Fonterutoli.

In prima battuta si scorge la spalla del Merlot con gli anni sulle spalle, le eleganti note verdi, calde, suadenti, ma mai pacioccose, ne affemminate e menchemeno molli.

Il sangiovese esce da dietro e domina la scena successiva, in un turbinio di armonia e veemenza gustativa. Il frutto è integro, nero. Riesce perfino a graffiare, il sangiovese. Ha ancora tante cartucce legate alla vita, due, forse tre. Scoda sul finale in maniera balsamica, lasciando una sensazione di marcata freschezza e fluidità.

Castello di Verduno Barolo 1967
100% nebbiolo

Tra il mistico e lo struggente.

Si è proprio lui, il Comm. Giovan Battista Burlotto, il quale ha fatto avvicinare l’interesse su un comune rimasto in sordina per diverso tempo, issando a metà Ottocento, nel piccolo centro di Verduno, la propria cantina. Prima di prendere in mano la vigna che oggi gode di fama elevata -Monvigliero- al pari delle più blasonate, vinificava nella storica cantina del Castello di Verduno.

Liquido onirico di 51 anni dal colore di un giovinotto. Rimanendo nel bicchiere migliora invece di avere parabole discendenti. Sa di radici ed erbe amare, cola e tabacco essiccato, arancia disidratata e carne che si tramuta in ferro.

Non molla un colpo, sbalordisce ad un certo punto quando dal bicchiere esce il sale, IL SALE!!! Ha ancora rara freschezza da potersi distendere come su di un prato dai mille colori.

Mi inchino.