L’ideale collettivo del 90% della popolazione italica sul beaujolais è ancora legato al noveau, paragonabile, con le dovute cautele, al nostro vin nòvo. Certo, in Francia, la cultura sulle nuove spremiture è ben diversa dalla nostra, oramai quasi scomparsa. Pensare che a metà Novembre, a Lione, alcuni produttori di Beaujolais, sfilano per strada con le proprie botti, contornate da canti e fiaccolate, per poi offrire un bicchiere a tutti i presenti. Inoltre, ogni bottega che si rispetti, tende a pubblicizzare il noveau in maniera decisa, con cartelloni che riempiono i locali e avventori coi sorrisi a 32 denti.

Ma facciamo sul serio.

Una storia che si ripete ma che per certi versi sta un po’ stretta a coloro i quali lottano per mostrare al Mondo la vera essenza del Beaujolais, oscurato negli anni da quest’ondata di vino, comunque prodotto da macerazione carbonica, ma con un “semplicistico” frutto al limite del monocorde e di bonaria articolazione.
Venduto solo nella vicina Lione, consumato sfuso nei bistrot della capitale transalpina, è da sempre stato un vino del popolo, a prezzi ragionevolmente bassi. Era la produzione massiva proveniente dalla parte meridionale della regione, a rimpinguare le pance dei bevitori di tutta la Francia.

Da qui tutto inizia.

Una lingua di terra che si distende per 50 km tra Macon a nord e Lione a sud. Doveroso fare una distinzione tra la parte meridionale (Bas-Beaujolais) e quella settentrionale (Haut-Beaujolais), prendendo come punto di confine Villefranche sur Saone.

Il Bas-Beaujolais è l’area dove si produce il maggior numero di ettolitri di vino, i quali vanno di pari passo ad una qualità del tutto innocua. Il Gamay, qua, poggia su terreni argillo-calcarei, ad altitudini relativamente basse, questo comporta una minor sofferenza della pianta corrisposta ad una maggior proiezione di quantità, per dirla a parole povere: qua si tende a far ciccia!!!

Le zone più vocate sono sicuramente a nord di Villefranche sur Saone -Haut Beaujolais- dove la Côte Beaujolais si getta, con il villaggio di Saint Amour -ultimo distretto settentrionale- nella Cóte Maconnais.

Questa fascia comprende terroir storici e domaine molto importanti, con distese di vigne potate a “gobelet” (alberello basso) e densità che arrivano a 10000 ceppi per ettaro, poggiate su suoli sabbiosi, scistosi e granitici, i quali riescono a contenere la generosità del gamay, riuscendo così a regalare vini dai profumi aggraziati e palati sostanziosi.

Ovviamente i distinguo sono necessari.

Sono gli anni ’80 e la forte potenza industriale che imperava in questa zona dette addito ad un cambio di rotta da parte di un manipolo di vigneron, i quali con forti lotte di sostenibilità ambientale e cancellamento di chimica in vigna e cantina, riuscirono ad aprire un varco nella testa di molti contadini, trainando il carro dei vini naturali francesi, si, ho detto naturali!! Se parliamo di altre aree vitivinicole, oggi il rischio è l’omologazione, dato dall’imperante dovere, suppongo non morale, di collocarsi a tutti i costi da una parte piuttosto che da un’altra. Storicamente la vinificazione nel beaujolais avveniva per macerazione carbonica, tutt’oggi, la scuola di pensiero dei “vecchi” è improntata su quella linea -anche se in molti optano per la semi carbonica- secondo il mio punto di vista legame indissolubile tra quest’uva e questo territorio. È proprio quest’ultima operazione, diventata per certi versi una moda in molte aree vitivinicole, a far perdere le peculiarità di altre uve e l’unicità del territorio di provenienza.

Tipicità e peculiarità che ritroviamo in maniera netta nei dieci storici cru, i quali rivendicano, ognuno, la propria appellation communale:
Saint-Amour, Juliénas, Chenas, Moulin-à-Vent, Fleurie, Chiroubles, Morgon, Régnié, Brouilly, Côte de Brouilly.

A fianco di queste denominazioni esistono altri terreni dove è possibile produrre la fascia mediana dei vini del dipartimento: il Beaujolais village.

Vitigno.

Esiste una sola varietà, il Gamay, che per esteso si chiama Gamay noir à jus blanc, ed è l’incrocio tra l’antico Gouais blanc e il Pinot Noir; dei circa 35000 ettari piantati in tutta la Francia, ben 22000 sono in questa zona, dove il vitigno si esprime nei suoi livelli più elevati.

Cru.

L’amore viscerale per quest’uva e per questo territorio, mi ha portato ad organizzare una giornata interamente dedicata al Beaujolais, con otto su dieci dei suoi cru, rappresentati dai migliori vignerons della zona. Venticinque bottiglie raccontate di seguito.

BEAUJOLAIS VILLAGE

Tutti e quattro i vini provengono dalla zona settentrionale della denominazione.

Karim Vionnet “du beur dans les pinards” 2016
Vinoso e violettoso, pulito e definito al naso, ma con poca articolazione palatale. Acidità slegata completamente alla materia, tanto da divenire aspra, finale diluito.

Guigner “Granite” 2016
Vigneron storico, uno dei primi a seguire certi dettami in vigna e cantina negli anni ’80. Non rivendica la denominazione ma le vigne sono tutte all’interno del Cru di Regniè. Visciola dolce e erbe, sale e agrume. Bocca slanciata e molto mobile, ha gran bel succo e carne, nonostante i soli 11°, per certi versi mi ricorda la Vitovska di Skerlj. Naso che si sporca/acquista complessità, vedetela come vi pare, grazie ad un filo di brett, per quanto mi riguarda, contestualizzando il prodotto, apporta complessità, perchè sorretto da altro, un po’ come quelle ossidazioni “buone” nello champagne.

Yvonne Metras 2016
Il guru. Un bel naso iniziale di mandarino e frutto rosso, si perde per strada virando su sensazioni umide, terrose. Quello che contraddistingue i vini di Metras è rigore e pulizia, quest’assaggio non lo identifica molto. Palato con bel grip, ma finale di castagna e frutta secca. Rivedibile.

Maison en belles lies “L’Etrange” 2016
L’ Etrange è lo strano. Strano perchè prodotto con pinot noir, gamay e chardonnay, unico esempio a mia esperienza di tutta l’area. Produttore che staziona a Saint-Aubin, nella Côte de Beaune, ma che, come molti in Borgogna, ha acquistato qua le vigne, avendo costi notevolmente più bassi. Ricchezza e polposità, vino ragionato e non improvvisato, in questo momento il legno marca un tantino, scuro al naso.

AOC CHIROUBLES

Le altitudini più importanti del distretto (380-400 mt slm), 350 ettari tutti nell’omonimo comune. Terreni molto leggeri, sabbiosi e granitici.

Jules Metras Chiroubles 2017
Figlio d’arte, prima annata prodotta. Vino contratto, e ci mancherebbe (!!) bocca piena e saporita, trama tannica che rimane centrale, vino severo e di rigore.

AOC BROUILLY

Il cru più ampio e variegato, ben 1330 ettari disposti su sei comuni: Saint-Lager, Cercié, Quincié, Odenas, Saint-Étienne-la-Varenne, Charentay. Suoli dove prevalgono le arenarie di color rosa, a completare argille silicee e rocce eruttive, più scure.

Alex Foillard Brouilly 2016
Altro figlio d’arte, di cui saranno presenti anche i vini del padre. Un frutto più candito, mirtillo dolce, agrumato e campestre. Bocca rotonda e fine, senza particolari guizzi.

Joubert Brouilly 2015
Ha un frutto macerato, mon cherì, terra calda, non molta mobilità nel bicchiere. Per contro ha un bel sale a dar sapore al palato, tannino asciugante.

AOC CHENAS

La più piccola appellations Beaujolais -265 ettari vitati- coltivati in due comuni: Chénas, La-Chapelle-de-Guincay. Poco considerata per la sovrapposizione con la più celebre Moulin-à-Vent. Terreni sabbiosi, ricchi di manganese.

Domaine de La Cadette Chenas 2016
Esce il legno giovane ma ben integrato, vinoso e perfettino. Ha poca espressività, potrebbe esser fatto in qualunque parte del globo.

Domaine des Vignes di Maynes “Ultimatum Climat” 2016
Non rivendica la denominazione il talentuoso vigneron borgognone Julien Guillot, ma ricade nell’Aoc Chenas. Vino di prospettiva, legno e maturazione importante, mantenendo succo e dinamicità. Bello strappo finale tutto mineral/iodato.

Remy Dufaitre Julienas 2016
vince il bicchiere di legno della giornata. Brett pieno, bocca semi vuota. Buco nell’acqua.

Domaine de La Cadette Julienas 2016
Vigneron che si ripresenta sotto altra denominazione. Almeno in questo Julienas la riconoscibilità è ascrivibile ad un sangiovese di altura, azzarderei Radda, peccato che siamo a latitudini diverse. Ha schiena dritta e più sostanza del fratello, violetta e lampone.

FLEURIE

Sono i vini più seducenti e floreali della Côte. Femminili senza essere piacioni, vibranti senza essere crudi, succosi senza essere stancanti, insomma, la quintessenza dell’eros.
Altimetria molto vasta che varia dai 200 ai 450 mt, la roccia è affiorante nelle zone più alte, corrisposte ai lieu-dit migliori: “Les Quatre-Vents”, “Las Chapelle des Bois”, “Grille Midi”, “Les Roches”, “La Rochette”; suoli più argillosi nella parte bassa, con detriti alluvionali.
Iniziamo ad avere più produttori che rappresentano un’unica zona, così da poter analizzare stili e terroir.

Yann Bertrand Phènix 2016
Colori più scarichi ma molto luminosi. Dolcezza di frutto, di spezia e di fiore. Un agrume rosso rende vitale il sorso, balla sulle punte, non si scompone e allunga di sale. Deciso e delicato allo stesso tempo, accarezza e si piace. Vino di sapore. A bicchiere vuoto profuma di foglie di tè.

Marc Delienne “Avalance de Printemps” 2016                                                                                                                                               Dolce da maturazione spinta, densità di frutto stancante, quasi candito. A tratti sembra un Brunello moderno, alcol che pur non essendo elevato, lo si percepisce in maniera totale. Tannino che vira sull’amaro. Quando l’etichetta è troppo bella…….

Chamonard La Madone 2016
Non ricordavo uno Chamonard, ma soprattutto il suo Fleurie -che oltretutto adoro- così scuro. Mon cheri e ciliegia macerata, troppa esasperazione di frutto, fiori da diario a chiudere. Molto carico per essere un Fleurie, incide più la mano che il terroir, ma questo è il problema minore. Si ingentilisce la sera, quando ormai ognuno è a casa propria.

Yvonne Metras 2016
Uno dei 5 pionieri del movimento naturale del beaujolais assieme a Thevenet, Lapierre, Foillard e Breton. È lui, inconfondibile. Vino luminoso e splendente. Un prato fiorito, dei lamponi così freschi da poter raccogliere, spezie dolci e colorate, erbe e lampi verdi piacevoli. Da prendere come unità di misura per tutti quei vini con raccolte anticipate e macerazioni carboniche improvvisate, frizza e si allunga, succo e sale, clamorosamente bóno!
Fuori categoria.

MORGON

Dopo Brouilly, il secondo Cru per estensione, 1100 ettari. A differenza del sopra citato le vigne ricadono tutte all’interno di un unico comune: Villié-Morgon. Quello che differenzia Morgon è il numero elevato di lieu-dit, tra cui spiccano la Côte du Py, la Corcelette, Javernière, la Roche Pilée e Gros Bras. Vigne che poggiano su terreni scistosi e ricchi in ossido di ferro.

Lapierre 2017
Altro pilastro di tutta la Côte; in assaggio l’ultima annata in commercio. Iniziamo a vedere dei colori più scuri, più concentrati, Morgon è questo. Ancora vinoso, emana profumi di ciliegia nera e liquirizia, tannino un filo polveroso ma poi riparte molto bene in slancio. C’è sostanza ma non troppa, manca ancora di quella mineralità che svilupperà negli anni, timbro incontrastato di questo cru.

Yann Bertrand “Cop de Foudre” 2016
Stesso vigneron del Fleurie appena assaggiato, timbrica molto riconoscibile, peraltro. Unico Morgon mai visto in vita mia ad essere così scarico di colore e cosi soffuso al palato. Agrume e iodio giocano a rincorrersi, un effluvio di sapore e succo, bello il finale pulito e nervoso. Camaleontico.

Chamonard 2016
Rustico e di sostanza, sporcato al naso da una punta di brett. Oggi i suoi vini ne sono usciti con le ossa rotte. Ma non prendete questo giudizio in maniera negativa, perché Chamonard fa dei bei vini, provate ad assaggiare i 2013 e i 2014!

Foillard 2016 

Il suo vino d’ingresso, assemblaggio di più parcelle all’interno dell’omonimo comune. Una concentrazione molto pronunciata, il vino non ne guadagna in finezza. Dolcino in attacco di bocca, si allarga subito dopo ma rimane trama asciugante e poco sviluppata.

Foillard “Corcelette”
Bouchon. Merde!

Foillard Côte du Py 2016
Terzo vino di Jean Foillard, il più importante per vocazione e storicità. Come ormai ci ha abituati, il “Py” non delude mai! Peccato per il precedente che poteva mettere in evidenza la differenza tra i vari lieu-dit. La completezza di un vino: potenza, finezza, ampiezza, sfericità. Sa essere maschile e femminile allo stesso tempo, fragola e terra calda, cenere e balsami. Un sorso di rara bellezza, di rigore e di sapore. Uno dei più buoni “Py” mai assaggiati.

Thevenet Vieilles Vignes 2016.
Ecco un altro della banda. Da vigne vecchie un capolavoro assoluto. Mineralità rossa, agrume, frutto maturo al punto giusto. Grandissima spinta, energico e salato, completato da una scorrevolezza gloriosa. La sua trama è distesa e gioviale. Datemene ancora.

MOULIN-À-VENT

Cru molto importante, accostato per fama a Morgon. Sono 650 gli ettari vitati su due villaggi: Chénas e Romaneche-Torins. Terreni drenanti, composti da sabbie granitiche, molto poveri in altitudine.

Thillardoin
Il vino più talebano della giornata, arruffato, con una volatile alquanto pronunciata, troppo. Ciliegia e frutti di bosco,.frutti di bosco e ciliegia, un monologo.

Metras 2016 magnum
Le aspettative erano altissime per chiudere in bellezza, ma la delusione è stata altrettanto grande.
La pulizia è il marchio di fabbrica dello storico vigneron, ma questo è l’inno alla castagna, alla frutta secca. È successo qualcosa, perché anche al palato la veste non è diversa, scuro e poco pulito. Bottiglia sfortunata? Non credo… penso più ad un’annata storta!

Un ringraziamento particolare a Francesco Rustioni e la sua incantevole ospitalità alla Locanda Il Gallo (Chiocchio – Greve in Chianti) dove peraltro si mangia assai bene, grazie a Alessio e Yari Pesucci in cucina. Profumi e sapori della nostra vera e amata Toscana.