Mi è servito del tempo per capire lo Champagne. Quando iniziai a bere più consapevolmente, non molto tempo addiètro, forse otto, forse nove anni fa, guardavo questo vino con ammirazione, ma non riuscivo ad entrarci in sintonia, non riuscivo a cogliere quelle sfumature che solo oggi, in parte, riesco a capire.

La grandezza di uno champagne la si può misurare solo col tempo. Il più delle volte beviamo delle spremute di limone, o al contrario vini troppo dolci, dove lo zucchero non è entrato a dovere nel tessuto del liquido.

In questo millesimo 2000, non dichiarato per problemi di stoccaggio in cantina, David Léclapart non usa ne zucchero, ne tantomeno vin de réserve, uno champagne messo a nudo in tutti i suoi pregi e in tutti i suoi difetti.

Uno spettro olfattivo da capogiro.

Finocchio, anice, gesso, albicocca matura, un accenno di miele leggerissimo (forse di erica), sidro di mele, zenzero, limone candito, alici, fuliggine.

Entra nel palato tutto gesso, con la carbonica che ancora lotta come può nelle maglie dell’ossidazione. Un’ ossidazione che non vira mai sull’amaro, ma amalgama un’acidità netta, lontana dall’essere citrina, ma bensì cremosa, la quale si espande invece di distendersi, racchiudendo il palato in un sapore iodato, balsamico e… di Champagne! Si. Sa proprio di Champagne come lo intendo io. Una volta che si diluisce, abbiamo la percezione della trasformazione, anzi della ri-trasformazione.

La bellezza struggente dello Champagne che torna vino!

David Leclapart
“L’Artiste” 2000 dégorgement 2004
Trépail Premier Cru
Chardonnay 100%