La presentazione del libro “Chianti Classico e figlio di mezzadro” all’enoteca “To Wine” di Prato, mi ha permesso di conoscere una persona che ha dedicato un’intera vita al vino, un uomo dai modi di fare gentili e rispettosi, un uomo di caratura importante, Silvano Formigli; colui che dopo Luigi Veronelli ha continuato a battersi per mettere in luce piccoli vignaioli, Aziende Agricole e territori sconosciuti. Direttore Commerciale del Castello di Ama dagli inizi degli anni ’80 del secolo scorso -oggi in pensione- ha cambiato di fatto un modo di pensare a ristoratori e clienti, dove il vino sfuso era preferito alla bottiglia. Uomo rispettato da tutti, mai una parola fuori posto, mai uscito dai canoni di signore vero. Mi sono bastati pochi minuti per capire di aver davanti colui il quale ha fatto grande il Chianti Classico, e non solo…

Ripercorriamo un po’ di storia chiantigiana, con alcuni passaggi proprio dal libro di Silvano Formigli.

Partiamo dal presupposto, nemmeno troppo sfacciato, che il Chianti ha stabilito le regole di vendita nel Mondo del vino. Il Chianti, quello storico, inizia la propria storia, negli allora terzieri -oggi chiamati comuni- Radda in Chianti, Gaiole in Chianti, Castellina in Chianti. Successivamente alle battaglie tra fiorentini e senesi per la conquista dei territori, all’insediamento della lega del Chianti, la quale aveva il compito di controllare e sigillare i prodotti a garanzia di esso -1254- alla pace tra fiorentini e senesi nel 1500 con la conquista di Siena, arriviamo in un periodo storico dove si verificano grosse frodi del commercio del Chianti. Alla fine del ‘600 arrivano al governo di Toscana relazioni che fanno riferimento all’imbarcazioni nel porto di Livorno di ettolitri ed ettolitri di vino con il nome “Chianti” che non è originale del Chianti. Le frodi, come possiamo vedere, purtroppo, non sono accostabili solo ai giorni nostri, anche se ultimamente stiamo attraversando un periodo felice del vino. Ecco lo snodo fondamentale del Chianti, quando nel 1716, il Granduca fece il bando del Granduca, la prima legge nel Mondo, la quale stabilì i confini geografici di zone atte a produrre vini di qualità e atti a navigare, comprensivo di regole per produrli e commercializzarli.

Il Fiasco.

Tutto nasceva dalla navigazione. Il bando del Granduca, prevedeva la denuncia delle uve dei vini, come si fa oggi con le Doc e le Docg, ben 250 anni prima dell’avvento delle denominazioni d’origine -1963- inoltre stabiliva che ogni partita di vino doveva essere assaggiata da una commissione e questa doveva dare il benestare all’esportazione di tale vino “atto a navigare”, ovvero avere le caratteristiche per resistere nel viaggio verso Londra e verso Bruges, i due principali mercati di allora. Ma cosa avveniva in questo momento? Il Chianti doveva competere con i concorrenti, non certo semplici da sopraffare: Bordeaux. Chiaramente data la vicinanza di Bordeaux a queste due zone di destino, il trasporto del vino avveniva tramite delle chiatte, dove vi si posavano le barrique, nate quest’ultime proprio per la suddetta funzione. Anche i nostri compaesani usavano delle piccole botti per il trasporto del vino, ma essendo tanto distanti da queste due città, a destinazione la botte aveva assorbito gran parte del liquido stando a contatto con l’aria, per cui perdevamo in competizione con i francesi. Ecco l’invenzione nel 1708: il fiasco da trasporto. Oggi considerato un souvenir per gli stranieri, rovinato in tutte le maniere nella sua immagine, va sottolineato che per 100 anni ha salvato il Chianti nel commercio del vino di alta qualità. “Una goccia di vetro soffiata, che crei una grande pancia, un collo stretto, una goccia d’olio e tanta paglia intorno”. La pancia serviva per contenere più vino possibile, la goccia d’olio per proteggerlo dall’aria, la paglia per non farlo rompere durante la navigazione. Il testo continua: “e un pezzo di carta, tappare il fiasco, in modo che non entri la polvere”. In sostanza il pezzo di carta fungeva da etichetta, dove venivano inseriti i dati di mittente e destinatario.

Il governo toscano.

In contemporanea nascevano tante altre cose a tutela della qualità e dell’enologia. I chiantigiani inventarono appunto il governo. Non è un’istituzione politica, ma la rifermentazione del vino fatta con uve appassite. Chi faceva commercio entrava in competizione, quindi doveva garantire una costante di qualità, e la natura non sempre viene d’aiuto, muffe, piogge, gelate, grandinate. Il compito dei contadini era quello di consegnare un buon vino per non perdere i clienti. Prima della vendemmia si facevano gli “scelti” -selezione- in base all’andamento climatico e si mettevano ad appassire nei cannicci, usati per accomododarci le olive. Quest’ uva “scelta” veniva aggiunta nella botte alla fine della prima fermentazione per dare un carattere al vino. Il mosto veniva così arricchito, durante la seconda fermentazione, di aromi, zuccheri e colore. Nelle annate di piogge, dove mancava colore, tannini e grado alcolico, si metteva ad appassire il colorino e un po’ di sangiovese. Se l’annata era siccitosa e calda, si appassiva il ciliegiolo ed il mammolo, per andare a colmare profumi e acidità. Insomma un metodo rivoluzionario per l’epoca.

Cultura enologica.

I Chiantigiani, mai domi, inventarono anche il cosiddetto colmatore o bollitore, comparso per la prima volta nel 1702, ci sono anche ipotesi che accostano quest’invenzione a Leonardo da Vinci, ma tant’è… Un’ ampolla di plastica o più comunemente usata di vetro, riempita d’acqua, che si trova nella parte superiore delle botti. Un tubo centrale collegato proprio con la botte e sopra un cappuccio di vetro; togliendo quest’ultimo era possibile riabboccare del vino, soprattutto se la temperatura esterna si raffreddava, ergo il livello del mosto si abbassava; la sua funzione era proprio quella di tenere sotto controllo la quantità del mosto nella botte. Negli anni ’70, in tante parti d’Italia non esisteva, per cui si trovavano mosti con la fioretta, questo perchè non esisteva cultura enologica, non c’era rispetto massimo verso il prodotto.

Patrimonio inestimabile.

Con il primo catasto visivo del Mondo, riportato su due tele affrescate dal Bimbi alla Villa Medicea di Poggio a Caiano, vi si possono trovare ben 84 tipi di uve coltivate nei giardini e nei campi sotto la Repubblica fiorentina; un patrimonio notevole di uve con quattro tipi di maturazione diverse: prima, seconda, terza e quarta maturazione, questo non solo per fare vino, ma anche come uva da tavola, per fare dolci, il pan con l’uva, oppure per mangiarla in inverno. Tutto questo permise al Chianti, nel 1700, di essere considerato il vino più importante da parte di Londra e Bruges. Date le idee avanguardiste dei contadini della zona, un gruppo di enologi di bordeaux -1754- venne in Chianti per capire come mai erano più bravi di loro.

Nel 1800 ci furono due grandi sconvolgimenti: la fillossera, che tutti conosciamo, ma soprattutto l’immigrazione degli italiani nel Mondo, i quali cambiarono le regole di commercio del prodotto. Man mano che questa gente iniziava a capitalizzare voleva il prodotto italia, ed i più pronti erano proprio i chiantigiani, per il semplice fatto che avevano già una lunga tradizione commerciale.

Alla fine dell’800 la pressione degli industriali imbottigliatori sui governi di allora fu sconvolgente, volevano chiamare “Chianti” tutto il rosso prodotto in Toscana. Nel 1924 grazie proprio all’avanguardia della ricerca di qualità, di affermazione e di serietà sul mercato di un prodotto con una storia alle spalle importante, nasce il primo consorzio di tutela in Italia, il consorzio del Gallo Nero. Furono 34 produttori tra Gaiole, Radda, Castellina e Panzano a voler difendere il vero Chianti. Questa notizia diede molto fastidio agli imbottigliatori e ai commercianti, per cui nel 1932 fecero fare quella che è l’attuale legge, identico nei confini e nelle regole, allargando ai 4 comuni “storici” altri 5 parziali: Castelnuovo Berardenga, San Casciano Val di Pesa, Tavarnelle, Barberino, Poggibonsi. Quindi la parola “classico” arriva nel 1932, fino ad allora si chiamava “Chianti”, non dal 1716 come riporta il nuovo logo del Gallo Nero; dal 1716 è Chianti. Da qui nascono altre sette zone: Colli Fiorentini, Montalbano, Rufina, Colline Pisane, Colli Aretini, Colli Senesi e Rufina, nel 1996 fu aggiunta anche Montespertoli.

Dopoguerra.

Il dopoguerra fu una tragedia con l’abbandono delle campagne, cambiarono tutti i metodi di lavorazione e di coltivazione, ma soprattutto di ambiente delle colline. Le zone più storiche furono quelle più abbandonate; negli anni ’60 l’erba era più alta delle viti, le piante non erano potate, il bosco si stava riprendendo tutti gli spazi, il valore immobiliare per questo crollò, ed ecco che si iniziarono a vedere i nuovi investitori, inglesi in primis, ma anche Milanesi, Romani, Svizzeri e Tedeschi; tutto questo cambiò totalmente la condizione sociale ed economica. Gli errori dei disciplinari della Doc furono un ulteriore colpo basso: alte rese per ettaro, alta resa a pianta, coltivazione gestite alla cazzum ecc.. ci fu un rilancio nei primi anni ’80, quando alcuni vignaioli iniziarono a rendersi conto degli errori fatti in vigna e in cantina, piazzando così consulenze di enologi e agronomi, per migliorarsi, non continuando a portare il vino ai laboratori degli enotecnici per farlo “aggiustare”. Ma il vero salvatore (brutto da dirsi ma è così) fu lo scandalo del metanolo, il quale fece ristabilire leggi e gestioni in tutta Italia. Negli anni ’90 e primi 2000 arrivarono i giovani e le donne a bere il vino, una benedizione per l’epoca.

Infine le sottozone.

Il problema delle sottozone fu già discusso nel 1981, il presidente dell’allora consiglio di amministrazione disse categoricamente: smettiamo di parlare di zonazione altrimenti gli industriali non comprano più il vino sfuso, questo significava bloccare gli acquisti e mettere in crisi un territorio, perchè chiaramente l’80% del vino veniva venduto in cisterne agli imbottigliatori ed ai commercianti, croce e delizia da sempre di questo territorio. La differenziazione del prodotto da comuni diversi è netta, reale, data da questa eterogenea geologia, ormai i consumatori e gli operatori sono sempre più preparati e consapevoli, dato che il legislatore ancora non riesce ad arrivarci per comodi propri.

Tanti altri passaggi in un libro che ognuno di noi dovrebbe leggere, a prescindere che ami o non ami il vino. il libro di Silvano Formigli riesce ad unire storia, umanità, apertura mentale e passione. Un racconto di quello che hanno passato le nostre campagne, delle fatiche e delle soddisfazioni di uomini e donne, di contadini e imprenditori, di come il Chianti Classico si sia imposto a livello mondiale. Un racconto a tutto tondo, finanche autobiografico, a tratti toccante.

Assaggi della serata

Le Boncie Toscana igt “Le Trame” 2014
Bucciarelli Chianti Classico 2013

Questi due vini rappresentano a pieno la perseveranza di contadini, di artigiani, rispettosi della vita che li circonda.

Non sono vini domabili. Testa bassa e passo lungo, se ne fregano del mercato e delle logiche commerciali. Sono figli della propria terra, solare e verace; riscoprono, minuto dopo minuto, quell’aurea chiantigianità degli anni che furono. Il sapore, la profondità, la pienezza, l’irrequietezza, senza pizzi e merletti. Escono dal bicchiere, ti prendono per i capelli e ti immergono nel loro mondo, e tu, rapito, ti immagini a cantare sunshine of your love dei Cream. Un misto tra pop e hard rock, con quei passaggi melodici e psichedelici che ti fanno fluttuare per aria. 

 

 

Antico Lamole Toscana igt “Viti di Livio” 2013 
naso chiuso di soffitta abbandonata, nocciola (?), legno, molto legno, il quale sovrasta il sangiovese. Una volatile sopra le righe, scissa completamente dal resto. L’aria anzichè giocare a favore, lo penalizza ulteriormente, quel lieve frutto che faceva capolino inizia il suo declino ossidativo. Palato compromesso da tannini da legno, due secondi e scivola via. Bottiglia sfortunata? Tappo che ha lavorato male? Può darsi, non lo ricordavo assolutamente cosi, anche se avevo assaggiato altra annata.

Val delle Corti Chianti Classico Riserva 2015
ho già avuto modo di sentire questo vino diverse volte. Il naso è sempre chiuso, arroccato, come gli altri bevuti. Ma non si fatica certo a capire quanta energia e quanta lucentezza abbia al sorso. Sale, profondità, spessore, con una grana tannica appuntita e saporita. Il vino sarà ancora al 45% del proprio potenziale, chissà con qualche anno di vetro…

Castello di Ama Chianti Classico “San Lorenzo” 2015
è stato vivibile per 35 secondi, poi ha iniziato a profumare di chewing gum ed ho smesso di seguirlo.